Negli ultimi anni, è evidente come le discipline legate al benessere interiore, dallo yoga alla mindfulness, dalla meditazione alla presenza consapevole, siano diventate sempre più popolari. Di pari passo, sono aumentati anche gli insegnanti, istruttori e coach che offrono percorsi legati a queste pratiche. Ma c’è una distinzione fondamentale che spesso si perde lungo il cammino: quella tra la conoscenza teorica di una disciplina e l’esperienza vissuta e integrata nella propria vita.
A chiunque è capitato di trovarsi in una classe, che sia di yoga o di una qualsiasi tecnica di consapevolezza, è sentire che, nonostante le parole giuste, il messaggio non risuonasse davvero. C’è qualcosa che manca, un filo invisibile che non lega l’insegnante alla pratica che cerca di trasmettere. E questo si avverte come allievi, a volte senza neanche rendersene conto, ma lasciando comunque un vuoto.
Per fare un paragone semplice e immediato, pensiamo ai maestri o ai professori che ci hanno accompagnato durante l’infanzia o l’adolescenza. Di chi ci ricordiamo davvero? Non di quelli che si limitavano a spiegare il programma, ma di coloro che vivevano pienamente ciò che insegnavano. Chi tra noi non ha avuto almeno un insegnante che, anziché limitarsi a trasmettere informazioni, incarnava la materia stessa? Poteva essere il professore di storia che raccontava con passione la Rivoluzione Francese come se l’avesse vissuta, o l’insegnante di scienze che trasmetteva un entusiasmo contagioso per ogni esperimento in laboratorio. Questi insegnanti erano molto più che semplici figure accademiche: erano guide, modelli di come una passione autentica possa cambiare il nostro approccio alla vita.
Nel mondo delle pratiche di consapevolezza, è lo stesso. Se un insegnante parla di presenza ma non è in grado di mantenere la propria attenzione per più di un minuto, o se insegna tecniche di gestione dello stress mentre appare costantemente sotto pressione, l’incoerenza tra ciò che dice e ciò che è, diventa palpabile. E questo ha un impatto diretto sull’esperienza dell’allievo.
L’autenticità nell’insegnamento non può essere simulata. Insegnare yoga o mindfulness non è solo una questione di tecnica o di conoscenza teorica, ma di incarnare quel modo di essere che si cerca di trasmettere. La vera pratica nasce dall’esperienza personale e dalla disciplina quotidiana. Tuttavia, è fondamentale che questa incarnazione avvenga come un’azione autentica e non come una proiezione dell’ego. Il rischio di creare un “ego spirituale” è reale, e può essere una delle strutture egoiche più pericolose da costruire, poiché maschera l’autenticità con un senso di superiorità o distinzione spirituale. La vera pratica non rafforza l’ego, ma lo dissolve, portando alla presenza genuina, libera da identità costruite.
Solo vivendo pienamente ciò che insegniamo possiamo sperare di ispirare gli altri a fare lo stesso.
Per concludere, il passo fondamentale per chi insegna queste discipline è non solo studiare, ma praticare. Praticare ogni giorno, in ogni circostanza, integrando l’attenzione e la consapevolezza nella vita di tuti i giorni. Solo così, la vera possibilità di portare trasformazione negli altri diventa reale, perché si insegna non più con le parole, ma con la propria presenza. Questo è il vero insegnamento che può essere trasmesso: non una tecnica, ma un modo di essere. E questo è ciò che davvero lascia un segno nei nostri allievi.
Affidati a chi vuoi, ma osserva sempre con chi sei.
Un abbraccio dal mio Spazio Interiore.
Andrea